Accogli. La Luna e i Calanchi, Aliano (MT), 18-22 agosto 2023
“Prendete e mangiatene tutti” disse JC un giorno e avremmo potuto fermarci lì, mettere in pratica queste poche parole, che sono bastevoli. E invece abbiamo dovuto aggiungere altro, detto e scritto da noi, che il sacro non ha niente a che fare con la religione. Avremmo potuto semplicemente “fare i bravi”1 e invece abbiamo voluto strafare e abbiamo confezionato parole umane a imprigionare l’amore dentro regole e riti e divieti, quell’amore che passa anche attraverso un pezzo di pane condiviso.
“Prendete e mangiatene tutti”, a questo ho pensato quando Alessandra mi ha dato un pezzo di quell’impasto nato durante il rito di “Matrici”2, un racconto di maternità e nascite, tutte diverse e tutte così caratterizzanti le nostre vite, proprio come le nostre matrici creatrici. Perché è in quell’attimo in cui vediamo la luce che prende vita la nostra storia. Ha distribuito l’impasto di semola e acqua, carico dei nostri lieviti emozionati, che è finito nelle teglie dei forni di casa, sempre pronti a ricevere, e in quello altrimenti spento di Aliano, se non fosse stato tenuto acceso da Ivan3 per i giorni della festa La Luna e i Calanchi4.
C’era un cartello, all’ingresso di quella casa altrimenti chiusa e abitata in quei giorni da Ivan, diceva “prendete quel che volete, mettete quel che potete” ed era così che si compiva ogni giorno il miracolo della divisione di cibo e vino che riuniscono. Ed era così che il pane lievitava con le sue parole e con le nostre attese fuori da quella porta, sui gradini e sulla strada. Che il tempo passa anche così, tra margherite da sfogliare e lavanda da respirare. Ivan raccontava le sue storie di recuperi, saccheggi, baratti, di circoli che tornavano a girare ed io, noi, immaginavamo sapori e consistenze. Era quella l’attesa che ci avrebbe portato a conoscere che sapore ha la poesia. Alessandra impastava e Ivan, con Maria Cristina, Giuseppe e Silvio, cuoceva. E tutti accoglievano.
In quei giorni aspettavo notizie da S., una ragazza conosciuta nella mia VitadaLocandiera. Era con W. che stava per sposarsi. All’inizio sarebbe stato di nascosto, con me che avrei potuto essere la sua testimone, se fosse stato necessario. Perché io obbedisco sempre alle richieste di Amore? Accidenti a me. Poi poterono togliere il velo a quell’amore e metterne un altro, tutto colorato di rosso e di oro. Ma mancava un pezzetto a quell’impasto di desideri e di consensi sfibrati, «Mia madre non ci sarà. Voleva altro per me, voleva decidere lei per me. Lei mi ha cancellato dalla sua vita e io ho fatto altrettanto». Le ho detto «che tutto si aggiusterà. Quando sarà tempo tu e tua madre vi troverete di nuovo, perché non si può lasciare strappato questo taglio. Noi siamo quell’impasto che le nostre madri hanno fatto lievitare. Siamo pezzi impastati con lievito madre». E alla fine ci fu festa grande e tutte le madri ballavano insieme, anche quella di S., vestite di rosso e di oro. Quando sono tornata a casa, alla VitadaLocandiera, S. mi ha portato in regalo, per ringraziarmi, una riproduzione del Tempio d’Oro di Amritsar nel Punjab, spedito dalla zia lontana. Io non lo conoscevo, lei mi ha detto che è il tempio più sacro per la religione Sikh, è circondato da un laghetto di Amrit (acqua santa) e ha quattro porte aperte verso i punti cardinali, che simboleggiano l’apertura e l’accoglienza. Chiunque può entrare nel tempio, di qualsiasi genere, razza, religione o casta sia. E si servono pasti gratuiti per tutto il giorno, chi può lascia offerte e così tutti possono mangiare.
“Prendete quel che volete, mettete quel che potete”.
“Prendete e mangiatene tutti”.
Io ero felice, loro bellissimi. Ho cucinato un pasto indiano, ho messo il tempio al centro della tavola, ho mangiato con i miei figli e ho raccontato la storia.
Ad Aliano eravamo io, Marò, Banchetto. E Rifugio. Banchetto era nella sua versione da strada, che sta tutto dentro di sé, parole nuove comprese, che poi erano tutte quelle “scritte per lui che non le legge più” ad Elsewhere5. Ho aperto le nuove tovaglie ricamate, prese al mercato, e anche il centrino giallo che mi aveva regalato la Donna di Fuoco, ho steso per terra un telo con farfalle stampate e ho scritto su una lavagna “siediti qui un momentino e mentre aspetti che arrivi qualcosa scrivi, leggi, stai, vivi”. E su tutto c’era il mio cartello di legno, trovato al mare e dipinto, ed è così che è nato il Rifugio delle Anime Sperse, in un vicolo di Aliano, a due passi da Elsewhere e Altrove. Tante e pochi si sono seduti al Banchetto e tante parole abbiamo detto, di dolore, stupore e gioia. Ho abbracciato e asciugato lacrime con baci sulla fronte. Ragazze e ragazzi si sono seduti in cerchio sulle farfalle e una poesia è volata spontanea. Io ero riempita di umanità, gonfia ancora di questi lieviti emozionati. E ho detto vita a un luogo che è dappertutto, nei cuori, sotto i calanchi bianchi che puntano al cielo.
Il mio pezzo di impasto l’ho conservato nel piccolo frigorifero della piccola casa in cui abitavo in paese, condividendo la camera e le notti con la donna straordinaria, dai capelli turchini, che è stata con me in questo viaggio6. Anche lei custodisce e accoglie, anche lei prende pezzetti di vite altrui e regala altri pezzetti della sua. Però sono fiori, rami verdi, semi, che saranno accolti dalla sua terra a diventare un giardino che è famiglia, sotto la protezione di un monte che ha tre cime. Siamo andate insieme da Alessandra e alla fine dello spettacolo, anzi del rito, ho pianto raccontando di me, che quello scavare dentro l’impasto mi aveva scavato e tirato fuori i ricordi di altre mani fruganti nel mio ventre gonfio, per portare fuori la luce dei miei occhi, loro tre, la cosa migliore che io potessi lasciare a questo mondo complicato. Ho pianto di tenerezza, d’amore, per chi ero. Che ero troppo piccola per essere madre e che invece ho detto di si, anche se non sapevo come avrei fatto. Proprio come ho fatto con il pane, qualche giorno dopo.
Per accogliere non bisogna pensare tanto, altrimenti ti trovi le scuse per non farlo. E forse neanche per impastare bisogna farlo.
Tornata a casa ho preso il mio pezzetto di impasto, carico delle storie altrui, di tutti quelli di cui vi ho detto e di altri, anche di quelli di cui ho dimenticato il nome che si sono seduti di fronte a me a Banchetto, e della mia. Ingravidato dai tre segni sulla mia pelle. Carne tagliata, ricucita, ferita e guarita dall’amore che ne è venuto fuori. Il corpo delle donne è così. Guarisce e contempla nel silenzio le ferite.
Ho bagnato il pezzetto con l’acqua, l’ho mescolato alla farina, l’ho massaggiato e accarezzato, l’ho fatto riposare, con gesti a caso, senza pesare e misurare nulla, con l’istinto della cura che arrivava da dentro di me, senza sapere bene come, ma con la certezza che ogni movimento, ogni piega, ogni attesa, ogni pressione, ogni taglio, fossero le cose più giuste da fare. E ne è uscito un pane che aveva la forma di un cuore, la forma dell’amore dato e ricevuto.
“Prendete e mangiatene tutti” ho detto a chi era intorno a quel pane.
“Prendete e mangiatene tutti” dicevo ai miei figli, ai loro amici e ai nostri e alla famiglia tutta. Ho accolto tutti loro in un pane messo al centro della tavola, che bastava per due e per moltiplicate bocche. Tutti accolti, nei lieviti diffusi nell’aria che respiro. Ed espiro un grazie soffiato nel cielo.
Una si è seduta per terra e ha letto di Elsewhere, poi è venuta ad ascoltare il suo messaggio dall’Universo e mi ha chiesto “come si fa a consegnare il dolore alle parole scritte?”.
“Si fa perchè è l’unico modo per non rischiare di dimenticare l’amore che l’ha nutrito”, ho risposto io.
Ora continuo a impastare pani che nascono da quelli già sfornati.
Ora è tempo di dare pani alle Anime Sperse di questo mondo. E anche dell’altro.
1 Hai mai letto A volte ritorno di John Niven? Fallo, ne vale la pena. Scopri qui il libro.
2 Puoi leggere questo articolo di Tiziana Calabrò su Matrici e andare qui se vuoi sapere chi è Alessandra Asuni.
3 Puoi leggere qui le parole di Ivan Fantini e questo articolo per conoscerlo meglio.
4 Puoi leggere qui per saperne di più sul festival diretto da Franco Arminio.
5 Se vuoi qui puoi leggere le parole di Elsewhere.
6 Se vuoi sapere chi è Marò D’Agostino e conoscere la Casa delle Erbe della Locride, ad Antonimina (RC), puoi leggere qui.